martedì 6 maggio 2014

Google e la lotta alla privacy!

Google nasce nel 1999 e da allora non ha mai smesso di immettere nei suoi data base informazioni di ogni tipo, inerenti agli utilizzatori dei suoi prodotti e dei social media partners -tra cui anche Facebook quando inzialmente avevano stipulato accordi di questo tipo- 
Gli algoritmi sono diversi, ciascuno con il proprio obiettivo, qui sono elencati quelli per raccogliere i dati attinenti alle persone e alle aziende e che servono anche all’analisi della linkbuilding.
Google Alert
Google PageRank
Google social circle
Google social search
Google social graph Api
Google analytics
Google adsense


Per ciascuno di questi tool, il motore di ricerca rende sempre disponibile una Guida online che “faciliterebbe” il lavoro, anche se poi non è sempre così semplice capire.
Google, per facilitare il lavoro dei webmaster - ma anche quello dei singoli utenti - propone di avere un account gmail, con cui utilizzare tutti i servizi disponibili gratuitamente… ecco individuati i primi piccoli inganni del motore di ricerca, “account e servizi gratuiti”.
Una volta inserite tutte le informazioni nei form visualizzati per accedere ai servizi, una buona parte del gioco è fatto, perché a partire da questo momento tutte le nostre mosse sono completamente rintracciabili in rete, tra l’altro questo già avviene mediante i cookie delle nostre query tramite il motore di ricerca.
Vediamo più da vicino questi algoritmi:
  • adwords e adsense, sono funzionalità che principalmente aiutano ad ottenere informazioni per effettuare indagini di mercato, per analizzare le parole con cui gli utenti cercano servizi e prodotti;
  • il pagerank viene utilizzato per capire misurare e analizzare i link in entrata in un sito;
  • google analitycs serve a monitorare gli utenti, i visitatori unici, capire cosa fanno, da dove arrivano, come si comportano nel sito, cosa vedono prima, quanto tempo rimangono sulle pagine;
  • google alert ci informa di tutte le volte che in rete si parla di noi, chiaramente questo è valido per le aziende mediamente importanti a confronto di grandi numeri;
  • google social circle, un algoritmo che consente al motore di ricerca di indivuduare gli amici degli amici su cui fare incidere i nostri contenuti;
  • google social graph Api, individua gli amici che in altri social network site hanno cambiato lo yousername...geniale diavoleria dei processi computazionali;
  • google social search, individua le tematiche trattate dai nostri amici nei social network site e ce ne comunica le informazioni attinenti, quando eseguiamo ricerche nel motore.
Il gioco è sempre uguale per tutti social network e i motori di ricerca: rilasciare “gratuitamente” servizi al caro prezzo dei dati… perché i form informativi vanno sempre compilati.
Tutti i social network consentono di entrare nei profili di chiunque - soprattutto facebook - perché c’è sempre un amico in comune, mediante il quale si può entrare nelle pagine di chi avrebbe innalzato la soglia della privacy.
Linkedln quando qualcuno visita una pagina, informa con una notifica il proprietario, cosa che però non fanno gli altri social; in più con la scusa della richiesta del curriculum - visto che è un social per professionisti - arriva ad avere informazioni profonde e dettagliate degli iscritti.
Google plus, consente a chiuque di inserirti nelle cerchie senza chiedere il consenso.
Twitter, è un social abbastanza aperto, quindi anche in questo caso i dati sono pubblici e accessibili a chiunque.
Youtube invece serve ad identificare i gusti cinematografici, musicali, indaga più sulle scelte personali. anche se questo lo fa anche facebook quando ti invoglia a compilare form attinenti allo svago.
Che ci sia un tracking dei dati, in realtà, non è che venga spiegato chiaramente e quando questa spiegazione viene data, si fa passare, come un  metodo di protezione dei dati.
Ad ogni modo fin tanto che i Governi non prendono una seria decisione su chi debba garantire l’utente - ignaro ed illetarete su come funzioanano veramente le dinamiche interdigitali - è una scommessa persa da parte dei consumatori dei servizi offerti da internet.
La discussione è molto complicata, perché a partire dal 2010, siamo passati da una dimensione digitale ad una interdigitale, ovvero ad una fase in cui, i device essendo diventati mobili, interconnessi, interdigitali, ubiquitari, multimediali - seppur regalando tanti benefici agli utenti/agenti - facilitano i Big player ad ottenere in maniera trasversale informazioni al quanto sensibili. Dunque sorge l’urgenza dell’alfatizzazione degli utenti, bisogna cioè discutere seriamente dell’iterdigital literacy, che è la capacità - da parte degli utenti - di utilizzare con consapevolezza e senso critico i media di cui bisogna maturare una cultura, una buona conoscenza dei linguaggi, delle regole, delle nuove etichette e soprattutto conoscerne bene i rischi attinenti alla privacy. Daltronde il problema della privacy, è destinato a diventare sempre più incisivo, perché, con l’affermazione sempre maggiore del Computing embeddedness e del  Biorganic computing la tematica dei dati non può che porsi al centro delle future politiche sociali.
La Computing embeddedness, indica i sistemi computazionale e intelligenti inglobati negli ambienti e negli oggetti, perché i sistemi tenderanno alla miniaturizzazione.
La Biorganic computing, indica l’integrazione tra biologico e tecnologico.

Va da sé quindi, che bisogna rendere literate gli individui, da cui sarà necessario avere il consenso, quando mediante un servizio wifi, saremo collegati a dei server, in cui i nostri dati verranno preservati e poi analizzati dai medici. Il futuro è vicino - perché riconfigurare un dosaggio di una medicina a distanza, da rilasciare nel corpo di un paziente, mediante device adattati e inglobati nel corpo - sarà pratica frequente.

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